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Archivi categoria: Benefici cristianesimo e cattolicesimo nella storia

O’Sullivan: «il vero motore della fine del comunismo fu Giovanni Paolo II»

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Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, quando il comunismo appariva ancora vincente sulla scena internazionale emersero tre personalità rivoluzionarie. I loro nomi erano Ronald Reagan, Giovanni Paolo II e Margaret Thatcher. Nel giro di dieci anni riuscirono a rovesciare le sorti dell’umanità con il risultato della sconfitta del blocco sovietico, del crollo del Muro di Berlino, della fine della guerra fredda e dell’apertura di una lunga stagione di pace e di sviluppo economico. Il tema è trattato in modo sistematico nel saggio storico Il Presidente, il Papa e il Primo Ministro (Editrice Pagine, 2010) di John O’Sullivan – noto giornalista e scrittore britannico, già consigliere speciale della Thatcher – recentemente tradotto in italiano. «Il vero motore del cambiamento, tuttavia, fu soprattutto Giovanni Paolo II – sottolinea O’ Sullivan in un articolo su Corrispondenza Romana– specie dopo la sua prima storica visita in Polonia. In quell’occasione il papa sfidò apertamente il comunismo e spianò la strada alla nascita, nell’anno successivo, del primo sindacato libero del blocco comunista: Solidarnosc. La sfida di Wojtyla all’Unione Sovietica fu di carattere morale e culturale. Prima ancora di diventare presidente degli USA, Reagan apprezzò il coraggio del papa e presto ne divenne un alleato imprescindibile nella battaglia per la pace nel mondo. La vittoria di Reagan sul comunismo fu soprattutto una vittoria geopolitica e militare, mentre la Thatcher contribuì a un cambiamento epocale soprattutto sul piano economico, con il ritorno a politiche liberiste che riportarono il benessere nel nostro Paese».

 

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    Anche Repubblica conferma: «ci salva la famiglia, anello forte del modello sociale».

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    Mentre gli atei delle sette razionalistiche esultano ad ogni divorzio in più (vedi Ultimissima 30/7/10) e quelli del Partito Radicale vogliono depenalizzare l’incesto (vedi Ultimissima 8/7/10), il quotidiano La Repubblica sottolinea: «Ci salva la famiglia. È ancora l’anello forte del nostro modello sociale, ma ora la famiglia rischia di essere stretta in una tenaglia. Un cambio d’epoca, nell’incertezza. Colpa della demografia che ci consegna una famiglia rattrappita, con meno figli e più anziani, ma anche più donne che lavorano. Accade dietro le quinte, perché proprio la “vecchia famiglia” ha tamponato gli effetti pesantissimi della recessione. La famiglia è stata l’ultimo -e forse l’ unico- baluardo perché la crisi sociale non straripasse, perché il tasso di disoccupazione rimanesse (apparentemente) sotto la media europea, perché si tenessero insieme genitori e figli e ancora i nonni. La famiglia, con le sue reti informali di solidarietà, è stata la nostra barriera protettiva, il nostro grande ammortizzatore sociale». L’articolo continua lamentandosi con un paese che «destina ai nuclei familiari circa la metà delle risorse che mediamente impegnano le altre nazioni europee». Dopo aver analizzato i tassi di consumo delle famiglie italiane, si sottolinea come «anche il lavoro è stato “salvato” dalla famiglia. Che ha protetto i giovani sui quali la crisi si è scaricata con più violenza. Ha retto il capofamiglia, sostenuto, quando necessario, dalla cassa integrazione. La famiglia ha svolto il consueto ruolo di ammortizzatore sociale, sopportando il peso della mancanza di occupazione dei figli». Eppure l’istituzione della famiglia ha numerosi nemici, proprio perché è un’istituzione prettamente cristiana. Se la famiglia salterà, salterà anche la società, perché «il figlio unico non potrà più di tanto occuparsi dei propri genitori anziani. Salterà perché crescerà in maniera esponenziale la domanda di servizi e di assistenza sanitaria se si pensa che già oggi il 90% degli over 85 ha una malattia cronica. L’assistenza agli anziani è oggi in buona misura delegata proprio alla famiglia». Concludendo, se sicuramente è da apprezzare la scelta di pubblicare un articolo del genere da parte di Repubblica, appare abbastanza contraddittorio il fatto che questo quotidiano, indipendentemente dall’oggettiva vicinanza a certe aree politiche, mentre si offre spesso come principale portavoce della cultura laicista, libertina, modernista e bioeticamente abortista, ogni tanto si metta anche a lamentarsi delle dirette conseguenze e, cioè, la crisi della famiglia, l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico.

     

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    Ecco perché l’esplosione iniziale del cristianesimo (da 12 apostoli a 32 milioni in 300 anni).

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    Da 12 apostoli a 32 milioni in soli 350 anni. La cristianità esplose letteralmente nell’impero romano non solo in virtù della forza della sua dottrina. Non avevano grandi mezzi economici, non erano protetti dai potenti, e al contrario predicavano tra poveri e deboli. Eppure il cristianesimo divenne la religione più diffusa nell’Impero romano (e oggi la situazione non è cambiata). Su questi e altri argomenti ha ragionato con estrema lucidità uno dei più importanti sociologi delle religioni viventi, Rodney Stark, docente di Scienze Sociali presso la Baylor University del Texas. Lo ha fatto attraverso due consigliatissimi volumi: Ascesa e affermazione del Cristianesimo. Come un movimento oscuro e marginale è diventato il pochi secoli la religione dominante dell’Occidente (Lindau 2007) e La città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano (Lindau 2010). In entrambi i volumi –riporta Zenit.it– l’autore raccoglie le diverse testimonianze storiche per cercare di svelare il mistero del successo cristiano attraverso la rigorosa applicazione di metodi scientifici e strumenti sociologici. Analizzando e mettendo insieme le testimonianze scritte di autori del tempo, relative alle diverse città dove erano presenti comunità cristiane, Stark disegna una curva che mostra l’aumento del numero dei cristiani dall’anno 40, in cui erano 1000, al 350 quando arrivarono a 32 milioni. Secondo Stark, non fu Costantino a permettere la crescita della Chiesa cristiana, al contrario fu l’enorme crescita dei cristiani a convincere l’Imperatore che il cristianesimo avrebbe sostenuto e rafforzato il cosmopolita popolo romano e quindi l’impero.

    1) Cura del prossimo e prevenzione sociale. Il cristianesimo divenne più attraente del paganesimo e delle altre religioni presenti in quegli anni innanzitutto per l’attenzione e la cura per il prossimo da parte dei cristiani. I pagani fuggivano difronte ad epidemie, incendi e disastri naturali, mentre i cristiani rimanevano per accudire parenti, figli, mogli, nonni, amici. Il loro amore per gli altri era tale che rischiavano la vita pur di prestare carità, cura e attenzione per gli altri. L’assistenza verso i deboli e l’assistenza medica elementare, che i cristiani praticavano verso tutti, ridusse notevolmente la mortalità e li fece apparire di fronte ai pagani come degli eroi innamorati dell’umanità. La carità dei cristiani era tale che giungeva fino alla testimonianza eroica dei martiri. Tutti rimanevano impressionati dai cristiani che sopportavano torture e martirio senza ribellarsi e senza mai tradire il loro fondatore. Stupefacente era anche la mancanza di azioni di vendetta e di violenza dei cristiani, i quali addirittura pregavano Dio affinché perdonasse i persecutori.

    2) Difesa, protezione e dignità delle donne. L’altro elemento fondamentale per il massiccio processo di conversione fu l’attenzione, la stima, il rispetto e la protezione che i cristiani praticavano nei confronti delle donne. Nella cultura cristiana le donne godevano di uno status più alto rispetto alle donne del mondo greco-romano. I cristiani combattevano la poligamia, la schiavizzazione e lo sfruttamento sessuale delle donne, proibivano la pratica dell’infanticidio e dell’aborto, che spesso veniva esercitato proprio nei confronti della nascita delle bambine. Questi elementi insieme al culto di Maria, fecero sì che nelle comunità cristiane fin dall’inizio ci fu una prevalenza numerica delle donne. La crescita di comunità sane con la presenza di molte donne virtuose fu decisiva per la crescita demografica dei cristiani: accadde infatti che i pagani trovavano donne virtuose per contrarre matrimoni nelle comunità cristiane. La percentuale di matrimoni misti tra donne cristiane e uomini pagani fu relativamente alta, e generò molte conversioni dei coniugi maschi al cristianesimo. La conseguenza ultima di questi fenomeni fu un aumento del tasso di natalità all’interno dei circoli cristiani.

     

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    Ricercatori americani: «il divorzio offre il doppio di probabilità di ictus ai figli».

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    L’1 dicembre di quarant’anni fa l’Italia usciva dalla famiglia ed entrava nell’individualità indifferente, nella crescita di monadi solitarie. Cessava di pensarsi e organizzarsi per famiglie e si emancipava pensandosi e organizzandosi per singoli. Il 1º dicembre del 1970 fu promulgata la legge del divorzio. Marcello Veneziani ha scritto un bellissimo editoriale su Il Giornale (che ci permettiamo di riprendere in forma quasi integrale) in cui afferma: «I radicali di Pannella furono l’avanguardia della battaglia sul divorzio, la madre di tutte le battaglie civili che poi seguiranno, aborto incluso. Meno famiglia ma più Stato, grazie a un pervasivo sistema pubblico. Le minigonne, gli hot pants e il mito del libero amore fecero da cornice leggiadra alla liberazione sessuale. L’Italia usciva dalla protezione parrocchiale, entrava sotto la protezione televisiva, libertaria e individualista». Segue poi un giudizio molto lucido: «Ma a costo di scandalizzare dirò che fu una conquista e una perdita. La testa fu la libertà, i diritti, l’emancipazione, l’autonomia, soprattutto per le donne. La croce fu che la famiglia cominciò a sfasciarsi come principio, fondamento, dovere, denatalità. Su questo ebbero ragione gli antidivorzisti; non era vero che il divorzio lasciava l’indissolubilità del matrimonio a chi voleva la famiglia tradizionale e dava la possibilità di scegliere diversamente a chi non vi si riconosceva. Perché la famiglia prese a sfasciarsi progressivamente, e lo sappiamo. Dite pure che era inevitabile, e aggiungete che fu un bene, se volete; ma non negate il nesso, non solo simbolico, tra il divorzio e la sfamiglia». Ogni legge porta con sè un cambiamento culturale, per questo non tiene la solita filastrocca dei pro-choice: si all’aborto (all’eutanasia, al testamento biologico ecc…) per chi lo vuole, mentre gli altri non sono per nulla obbligati. Veneziani conclude benissimo: «Tra le promesse mancate del divorzio ve ne sono tre vistose. La prima è che la famiglia è in crisi ma il «familismo amorale» è in auge e produce i suoi peggiori effetti. La seconda è che le violenze non sono diminuite con le separazioni, anzi a volte hanno esiti più tragici. La terza è che il divorzio non ha generato rapporti più franchi tra coniugi, senza le finzioni, i sotterfugi e le scappatelle delle nozze per sempre; anzi le ipocrisie, le frustrazioni, i tradimenti sono aumentati vertiginosamente. È facile sparlare della famiglia arcaica ante-divorzio e del suo assetto incompatibile con la libera modernità. Di solito si ricordano abusi e ipocrisie, il padre-padrone e la gerarchia domestica. Io vorrei ricordare che per ogni abuso c’erano cento casi di dedizione commovente, per ogni violenza c’erano cento sacrifici personali, per ogni etto d’odio c’era un quintale d’amore. Oggi assai meno. Quella struttura arcaica è irripetibile, merita solo giudizi storici e memorie sentimentali ma è alle nostre spalle. Non disprezziamo quel che è alle nostre spalle. Non sputate sui vostri padri e sulle vostre madri».

    Il divorzio, primo grande successo ottenuto dalla cultura laicista e anticristiana, si è rivelato e si rivela un grandissimo successo contro l’uomo (come tutti gli altri obiettivi del mondo anticristiano). Un esempio è ciò che ha dimostrato proprio in questi giorni (casualità?) la Gerontological Society of America (GSA) durante la 63esima riunione scientifica annuale a New Orleans tra il 19 e il 23 novembre 2010: i bambini che sperimentano il divorzio dei genitori hanno oltre il doppio di probabilità di soffrire di un ictus a un certo punto della loro vita (qui è possibile consultare l’articolo). Questa constatazione -riporta il sito di divulgazione scientifica Science Daily– si basa su un campione rappresentativo della comunità di oltre 13.000 persone. L’analisi dei dati è stata condotta da diversi ricercatori coordinati dall’Università di Toronto. Uno dei ricercatori, Esme Fuller-Thomson, ha dichiarato: «Nonostante la non presenza di altri fattori di rischio – tra cui lo status socioeconomico, salute mentale e altre esperienze infantili sfavorevoli- la propensione per l’ictus di coloro che hanno vissuto il divorzio dei genitori è rimasta significativamente elevata». La notizia è stata pubblicata anche da Medical News Today e da The Medical News.

    Possiamo dire che la ricerca conferma i risultati a cui arrivò la dr. Lisa Strohschein nel 2005, quando dimostrò che il divorzio dei genitori espone a un maggior rischio i bambini di uso del Ritalin -uno stimolante utilizzato in medicina per il trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività-, rispetto ai bambini i cui genitori stanno insieme. I risultati sono stati pubblicati dal Canadian Medical Association Journal.

     

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    Intervista a padre Roberto Busa, colui che ci permette di navigare su Internet.

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    Qualcuno si domanderà cosa avranno in comue i fondatori della cosmologia moderna, della paleontologia, della geologia, della genetica, del motore a scoppio, dell’elettricità biologica, della biologia, delle geometrie non euclidee, della geologia e della stratigrafia, dell’egittologia, dell‘idraulica, del modello eliocentrico ecc…Probabilmente nulla, se non che tutti erano scienziati e religiosi (sacerdoti e monaci). Uno di questi “padri fondatori” è stato intervistato recentemente da Avvenire ed è conosciuto in tutto il mondo per essere stato il fondatore della linguistica computazionale (o Natural Language Processing), cioè quella disciplina che relaziona il computer con il linguaggio umano. E’ così «Padre» della linguistica informatica, degli ipertesti, dell’intelligenza artificiale, del computer applicato alla scrittura, dei cd-rom, ma anche «Padre» in senso religioso, poiché Roberto Busa è un Gesuita di sant’Ignazio di Loyola. Insomma, come riporta Il Giornale, è merito suo se ora state navigando su Internet… Busa non ha mai pensato di togliere la sua lunga talare nera negli innumerevoli consessi scientifici mondiali dove da sessant’anni è rispettato e onorato ospite. L’intervista del quotidiano della CEI è dovuta al fatto che l’Ibm, partner tecnologico e professionale della sua vita, in questi giorni prenderà in consegna l’Index Thomisticus, l’opera che ha fatto di padre Busa una celebrità nel mondo dell’informatica. Essa nasce per stivare l’analisi automatizzata delle nove milioni di parole dell’opera omnia di Tommaso d’Aquino. L’Ibm ha deciso di portarsi il tutto nel suo quartier generale italiano, come un monumento alla genialità. Sul quotidiano è anche raccontata la singolare amicizia tra padre Busa e sir Thomas Watson, il fondatore del colosso informatico americano.

     

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