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Archivi categoria: Matrimonio e divorzio

Nuova ricerca psicologica: il matrimonio riduce i comportamenti antisociali.

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La famiglia e il matrimonio, idee prettamente cristiane, oltre a rimanere i punti fermi di una società individualista e indifferentista, offrono anche benefici per il benessere sociale. Lo stanno e lo hanno dimostrato diversi studi scientifici, per i quali i soggetti che sono passati dall’altare godono sempre di una salute migliore e di una migliore qualità della vita. Ad esempio quest’estate il Medical News Today ha pubblicato i risultati di un articolo in cui si evidenziava come i soggetti sposati presentano una buona riduzione del livello di cortisolo, noto come l’ormone dello stress psicologico (cfr. Ultimissima 24/8/10). Una nuova ricerca è stata condotta su coppie di gemelli da un’equipe di scienziati della Michigan State University (Stati Uniti), i cui risultati sono stati pubblicati sull’autorevole rivista Archives of General Psychiatry. (e ripresi dal quotidiano spagnolo La Gaceta). La genetista Alexandra Burt e i suoi colleghi hanno rilevato che gli uomini più integrati e meno propensi a violare le leggi, hanno più probabilità ad essere sposati. Il loro buon comportamento è rafforzato e il matrimonio sembra inibire ulteriori idee cattive. L’unica questione non chiara, tuttavia, è se questa associazione deriva dal mantenere un rapporto stabile, o se, viceversa, gli uomini meno “pericolosi” e più integrati, abbiano semplicemente più probabilità di sposarsi (la scienziata ritiene vere entrambe le risposte). «In generale il matrimonio è un bene per gli uomini, almeno nella media, riduce infatti il comportamento antisociale. I dati indicano anche che non può essere una casualità», ha affermato la Burt. I ricercatori hanno esaminato 289 coppie di gemelli maschi, valutati quattro volte: a 17, 20, 24 e 29 anni. Si è scoperto che gli uomini con più bassi livelli di comportamenti antisociali a 17 e 20 anni, avevano una maggiore probabilità di essere sposati all’età di 29 anni. Una volta sposati, i tassi di comportamento antisociale si sono ulteriormente ridotti. Lo studio scientifico conferma così pienamente le parole di Benedetto XVI del 5 maggio 2010, qunado sottolineò, durante l’Udienza generale di mercoledì in piazza San Pietro, che il «matrimonio è uno strumento di salvezza non solo per gli sposati, ma per tutta la società. Come ogni obiettivo che vale davvero la pena perseguire esso comporta esigenze, ci sfida, ci chiede di essere pronti a sacrificare i nostri interessi per il bene dell’altro. Ci chiede di esercitare la tolleranza e di offrire il perdono. Ci invita a nutrire e a proteggere il dono della vita nuova. Coloro tra noi che sono abbastanza fortunati di nascere in una famiglia stabile scoprono in essa la prima e più importante scuola per una vita virtuosa e le qualità per essere buoni cittadini. Incoraggio tutti voi nei vostri sforzi per promuovere l’adeguata comprensione e l’apprezzamento del bene inestimabile che il matrimonio e la vita familiare offrono alla società umana».

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    Anche Repubblica conferma: «ci salva la famiglia, anello forte del modello sociale».

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    Mentre gli atei delle sette razionalistiche esultano ad ogni divorzio in più (vedi Ultimissima 30/7/10) e quelli del Partito Radicale vogliono depenalizzare l’incesto (vedi Ultimissima 8/7/10), il quotidiano La Repubblica sottolinea: «Ci salva la famiglia. È ancora l’anello forte del nostro modello sociale, ma ora la famiglia rischia di essere stretta in una tenaglia. Un cambio d’epoca, nell’incertezza. Colpa della demografia che ci consegna una famiglia rattrappita, con meno figli e più anziani, ma anche più donne che lavorano. Accade dietro le quinte, perché proprio la “vecchia famiglia” ha tamponato gli effetti pesantissimi della recessione. La famiglia è stata l’ultimo -e forse l’ unico- baluardo perché la crisi sociale non straripasse, perché il tasso di disoccupazione rimanesse (apparentemente) sotto la media europea, perché si tenessero insieme genitori e figli e ancora i nonni. La famiglia, con le sue reti informali di solidarietà, è stata la nostra barriera protettiva, il nostro grande ammortizzatore sociale». L’articolo continua lamentandosi con un paese che «destina ai nuclei familiari circa la metà delle risorse che mediamente impegnano le altre nazioni europee». Dopo aver analizzato i tassi di consumo delle famiglie italiane, si sottolinea come «anche il lavoro è stato “salvato” dalla famiglia. Che ha protetto i giovani sui quali la crisi si è scaricata con più violenza. Ha retto il capofamiglia, sostenuto, quando necessario, dalla cassa integrazione. La famiglia ha svolto il consueto ruolo di ammortizzatore sociale, sopportando il peso della mancanza di occupazione dei figli». Eppure l’istituzione della famiglia ha numerosi nemici, proprio perché è un’istituzione prettamente cristiana. Se la famiglia salterà, salterà anche la società, perché «il figlio unico non potrà più di tanto occuparsi dei propri genitori anziani. Salterà perché crescerà in maniera esponenziale la domanda di servizi e di assistenza sanitaria se si pensa che già oggi il 90% degli over 85 ha una malattia cronica. L’assistenza agli anziani è oggi in buona misura delegata proprio alla famiglia». Concludendo, se sicuramente è da apprezzare la scelta di pubblicare un articolo del genere da parte di Repubblica, appare abbastanza contraddittorio il fatto che questo quotidiano, indipendentemente dall’oggettiva vicinanza a certe aree politiche, mentre si offre spesso come principale portavoce della cultura laicista, libertina, modernista e bioeticamente abortista, ogni tanto si metta anche a lamentarsi delle dirette conseguenze e, cioè, la crisi della famiglia, l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico.

     

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    L’1 dicembre di quarant’anni fa l’Italia usciva dalla famiglia ed entrava nell’individualità indifferente, nella crescita di monadi solitarie. Cessava di pensarsi e organizzarsi per famiglie e si emancipava pensandosi e organizzandosi per singoli. Il 1º dicembre del 1970 fu promulgata la legge del divorzio. Marcello Veneziani ha scritto un bellissimo editoriale su Il Giornale (che ci permettiamo di riprendere in forma quasi integrale) in cui afferma: «I radicali di Pannella furono l’avanguardia della battaglia sul divorzio, la madre di tutte le battaglie civili che poi seguiranno, aborto incluso. Meno famiglia ma più Stato, grazie a un pervasivo sistema pubblico. Le minigonne, gli hot pants e il mito del libero amore fecero da cornice leggiadra alla liberazione sessuale. L’Italia usciva dalla protezione parrocchiale, entrava sotto la protezione televisiva, libertaria e individualista». Segue poi un giudizio molto lucido: «Ma a costo di scandalizzare dirò che fu una conquista e una perdita. La testa fu la libertà, i diritti, l’emancipazione, l’autonomia, soprattutto per le donne. La croce fu che la famiglia cominciò a sfasciarsi come principio, fondamento, dovere, denatalità. Su questo ebbero ragione gli antidivorzisti; non era vero che il divorzio lasciava l’indissolubilità del matrimonio a chi voleva la famiglia tradizionale e dava la possibilità di scegliere diversamente a chi non vi si riconosceva. Perché la famiglia prese a sfasciarsi progressivamente, e lo sappiamo. Dite pure che era inevitabile, e aggiungete che fu un bene, se volete; ma non negate il nesso, non solo simbolico, tra il divorzio e la sfamiglia». Ogni legge porta con sè un cambiamento culturale, per questo non tiene la solita filastrocca dei pro-choice: si all’aborto (all’eutanasia, al testamento biologico ecc…) per chi lo vuole, mentre gli altri non sono per nulla obbligati. Veneziani conclude benissimo: «Tra le promesse mancate del divorzio ve ne sono tre vistose. La prima è che la famiglia è in crisi ma il «familismo amorale» è in auge e produce i suoi peggiori effetti. La seconda è che le violenze non sono diminuite con le separazioni, anzi a volte hanno esiti più tragici. La terza è che il divorzio non ha generato rapporti più franchi tra coniugi, senza le finzioni, i sotterfugi e le scappatelle delle nozze per sempre; anzi le ipocrisie, le frustrazioni, i tradimenti sono aumentati vertiginosamente. È facile sparlare della famiglia arcaica ante-divorzio e del suo assetto incompatibile con la libera modernità. Di solito si ricordano abusi e ipocrisie, il padre-padrone e la gerarchia domestica. Io vorrei ricordare che per ogni abuso c’erano cento casi di dedizione commovente, per ogni violenza c’erano cento sacrifici personali, per ogni etto d’odio c’era un quintale d’amore. Oggi assai meno. Quella struttura arcaica è irripetibile, merita solo giudizi storici e memorie sentimentali ma è alle nostre spalle. Non disprezziamo quel che è alle nostre spalle. Non sputate sui vostri padri e sulle vostre madri».

    Il divorzio, primo grande successo ottenuto dalla cultura laicista e anticristiana, si è rivelato e si rivela un grandissimo successo contro l’uomo (come tutti gli altri obiettivi del mondo anticristiano). Un esempio è ciò che ha dimostrato proprio in questi giorni (casualità?) la Gerontological Society of America (GSA) durante la 63esima riunione scientifica annuale a New Orleans tra il 19 e il 23 novembre 2010: i bambini che sperimentano il divorzio dei genitori hanno oltre il doppio di probabilità di soffrire di un ictus a un certo punto della loro vita (qui è possibile consultare l’articolo). Questa constatazione -riporta il sito di divulgazione scientifica Science Daily– si basa su un campione rappresentativo della comunità di oltre 13.000 persone. L’analisi dei dati è stata condotta da diversi ricercatori coordinati dall’Università di Toronto. Uno dei ricercatori, Esme Fuller-Thomson, ha dichiarato: «Nonostante la non presenza di altri fattori di rischio – tra cui lo status socioeconomico, salute mentale e altre esperienze infantili sfavorevoli- la propensione per l’ictus di coloro che hanno vissuto il divorzio dei genitori è rimasta significativamente elevata». La notizia è stata pubblicata anche da Medical News Today e da The Medical News.

    Possiamo dire che la ricerca conferma i risultati a cui arrivò la dr. Lisa Strohschein nel 2005, quando dimostrò che il divorzio dei genitori espone a un maggior rischio i bambini di uso del Ritalin -uno stimolante utilizzato in medicina per il trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività-, rispetto ai bambini i cui genitori stanno insieme. I risultati sono stati pubblicati dal Canadian Medical Association Journal.

     

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