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La genetica moderna ha smentito il darwinismo classico

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Genetica

di Giorgio Masiero*
*fisico

 

L’origine in Terra di tante forme di vita, diverse eppure simili, è un problema che ha interrogato l’uomo da sempre, dando luogo a miti e speculazioni. Nel 1837 Charles Darwin, alla fine di un “lungo ragionamento” iniziato col suo viaggio intorno al mondo – durante il quale aveva osservato ambienti diversissimi, dal Sud America all’Africa, …

 

http://www.uccronline.it/2013/07/12/la-genetica-moderna-ha-smentito-il-darwinismo-classico/

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Gli scienziati: «l’uomo è l’unica eccezione di non dipendenza dal DNA».

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L’antropologo cattolico Fiorenzo Facchini, autore di Le sfide dell’evoluzione e Le origini dell’uomo e l’evoluzione culturale, docente e ricercatore di antropologia, paleontologia umana e socioantropologia in diversi atenei, da Bologna a Bolzano (premiato nel 2002 dall’Accademia dei Lincei per l’Antropologia fisica) risponde alle domande de Il Giornale sulla genetica e la libertà umana, argomento emerso nel libro Anthill di E.O. Wilson. «Che i geni e l’ambiente siano gli unici fattori in gioco non lo sosterrei così facilmente. Il riduzionismo dimentica del tutto la consapevolezza umana, la capacità progettuale e quella di simbolizzazione, per non parlare della libertà. Come dice lo zoologo Grassé, le regole delle formiche provengono dal loro DNA, tant’è che sono sempre le stesse, mentre quelle dell’uomo cambiano nel tempo. Il genetista neodarwinista Theodosius Dobzhansky afferma che le società umane non si regolano come quelle animali e proprio in questo continuo mutar di regole sta il trascendimento del regno animale da parte dell’uomo». L’antropologo Facchini continua: «Anche Teilhard de Chardin ha fatto un inno alla materia “adorabile”, compresa la parte inanimata, senza scordarsi di aggiungere, però, che l’assunzione che l’uomo fa della natura la fa nella misura in cui si rende conto di essere l’unico cosciente. È l’uomo che dà coscienza a tutto il resto».

Come avevamo già avuto modo di dire in Ultimissima 30/7/10, molti scienziati si sono espressi recentemente su queste tematiche, ritenendo la genetica inadeguata a spiegare la complessità e misteriosità dell’uomo. Citavamo a titolo esemplificativo, il neodarwinista Francesco Cavalli Sforza e il biologo Steven Rose. Possiamo aggiungere il fisiologo e teologo John Habgood, che dichiara: «Le nostre caratteristiche generali dipendono in una certa misura dalla nostra eredità genetica. Ma da qui a dire che siamo geneticamente determinati ne corre. La genetica è uno dei fattori influenti. Poi c’è l’ambiente e infine la libera scelta di noi stessi. L’essenza del comportamento umano, a differenza di quello animale, sta nel fatto che è intenzionale e ponderato» (da La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag. 88,89). E chiudiamo con il celebre genetista Francis Collins (forse la persona più odiata, dopo il Papa, dalle sette ateo-razionaliste), a capo del team che è riuscito a decifrare il genoma umano: «La genetica è il manuale d’istruzioni di Dio, è il Suo linguaggio, che però non spiegherà mai certi speciali attributi umani, come la conoscenza della legge morale e l’universalità della ricerca di Dio» (da Il linguaggio di Dio, Sperling&Kupfer 2007, pag. 20-22).

 

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    Duro colpo per i riduzionisti: l’uomo è ben oltre i suoi geni (30/7/10)
    Scienza e Fede: il DNA non definisce l’uomo (14/4/10)

    Il genetista Dallapiccola: «il Nobel ad Edwards? Concordo con il giudizio della Chiesa».

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    «Vede, il problema è che viviamo in un mondo nel quale il principio di precauzione viene invocato e applicato ovunque. Però quando andiamo a toccare la vita embrionale no, non se ne può parlare, guai, sei oscurantista!». Così dice a Il Corriere della Sera il professor Bruno Dallapiccola, genetista di fama internazionale e professore di Genetica Medica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, rispetto al Nobel per la Medicina a Robert Edwards e alle polemiche che sono emerse. «Io non mi permetto di giudicare ciò che dice la Chiesa, però mi pare evidente che sia anzitutto una posizione di prudenza: ed è bene che qualcuno ci pensi, visto che parliamo di vita. A parte che la Chiesa ha diritto di parlare come tutti e poi ciascuno, liberamente, si regola come crede. Io in tanti anni non mi sono mai sentito bloccato nelle mie ricerche da pareri o veti di sorta. Del resto, prendiamo le ricerche “necessarie” sulle staminali embrionali: nel 2005 le perplessità della Chiesa furono tacciate di antiscientificità e i fatti hanno dimostrato che aveva ragione, ci sono ricerche successive che hanno riprogrammato cellule adulte con caratteristiche embrionali».

    Ma i milioni e milioni di embrioni che Edwars ha scartato e soppresso per sceglierne i migliori, hanno la dignità propria della persona? Il genetista risponde: «Il concetto di persona è arduo. Da medico e ricercatore le posso dire che sicuramente è un progetto unico e irripetibile, destinato almeno in potenza a divenire una persona. E di questo ci sono tre evidenze scientifiche: all’osservazione microscopica, all’analisi biologica e genetica. Poi uno può pure sostenere sia solo un ammasso di cellule, solo che non è vero».

    Rispetto alla fecondazione artificiale -continua Dallapiccola- «che Edwards abbia inciso sulla storia della medicina, non ci piove. Detto questo, a distanza di decenni possiamo dire che oggi, nelle applicazioni concrete, siamo assai lontani dallo spirito iniziale. In principio si trattava di superare problemi “meccanici” all’incontro tra ovulo e spermatozoo, ad esempio nel caso delle donne che hanno le tube chiuse. Molto spesso tali tecniche sono diventate un abuso e una forma di accanimento riproduttivo. Questo perché c’è una pressione commerciale drammatica. Quando l’embrione sta nell’unico posto dove non deve stare, fuori dall’utero, ce l’hai in mano e ne fai quel che vuoi».

     

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    Premio Nobel a Robert Edwards: ma è davvero medicina? (6/10/10)

    Duro colpo per i riduzionisti: l’uomo è ben oltre i suoi geni.

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    Duro colpo per il riduzionismo e il materialismo internazionale. In questi giorni Repubblica ha pubblicato la notizia dei risultati di un rapporto del Government Accountability Office (Gao), un organismo governativo americano, i quali hanno smentito impietosamente l’attendibilità dei test genetici per conoscere il rischio di contrarre una malattia. Si sente e si legge sui giornali, purtroppo non di rado, del «gene della violenza», del «gene del tradimento», del «gene gay» ecc.. , spesso sentiamo qualche militante materialista (da Atkins a Dennet) parlare dell’uomo definendolo “nient’altro che…” (il tutto per ovviamente per tentare di sminuire la sua biblica evidenza di creatura), ma l’uomo -è stato dimostrato- non è riconducibile ai suoi antecedenti genetici o biologici. Essi sono inadeguati a spiegare la complessità e misteriosità dell’uomo. Ne parla il filosofo Giacomo Samek Lodovici su Avvenire: «questi discorsi affermano che tutto il nostro agire è scritto nei geni, negano la libertà umana e quindi cancellano la nostra responsabilità morale (e, in fondo, anche giuridica). Tuttavia, con buona pace dei tentativi di dimostrare che l’uomo è una macchina, non è possibile ridurre l’essere umano alla sola componente biologica, perché noi siamo costituiti anche da una dimensione spirituale, quell’anima di cui parlano, già prima del cristianesimo, alcuni filosofi greci. Per dimostrarne l’esistenza esistono diversi argomenti filosofici, che il lettore può ricostruire anche su alcuni manuali di storia del pensiero». Il DNA sicuramente dona informazioni interessantissime ma «grazie allo spirito siamo in grado, almeno in una certa misura, di trascendere i condizionamenti, possiamo sperimentare la vertigine della libertà, siamo capaci di interrompere la prevedibilità e l’inderogabilità dei nessi fisici di causa-effetto e di dare inizio a qualcosa di nuovo». Questa è la grande differenza dagli animali, condizionati obbligatoriamente ai loro geni.

    Sorprendentemente anche il neodarwinista Francesco Cavalli Sforza ha dichiarato -sempre su Repubblica– che «nessun uomo è figlio solo dei suoi geni», il nostro destino non è scritto una volta per sempre nel Dna. Il biologo Steven Rose, noto oppositore delle bizzarre teorie riduzioniste di Richard Dawkins (masssimo promotore dell’ateismo internazionale e del materialismo scettico), ha dichiarato: «L’uomo ha capacità precluse a qualsiasi altra specie animale sulla Terra. E’ unico. Anche con le scimmie c’è una differenza talmente grande, sopratutto qualitativa. Gli organismi sono multidimensionali (tre dimensioni spaziali più una temporale) mentre il DNA è una fila monodimensionale: non si può passare da 1 a 4. Non si può conoscere l’uomo (se sarà violento, religioso, radicale, conservatore, omosessuale o eterosessuale) decifrando il DNA» (La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag. 96-97).

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    Scienza e Fede: il DNA non definisce l’uomo.

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    La vita non è semplice e riducibile a nostri schemi. Ne è un esempio lo studio del Dna.
    L’Osservatore Romano riporta un articolo del bioetico Carlo Bellieni, che afferma: “chi pensava che il Progetto genoma svelasse il segreto della vita deve ricredersi: appena nata, la decifrazione del genoma umano come spiegazione della vita è già vecchia, tanto che l’agenzia scientifica “Nova” titola: Un fantasma nei tuoi geni per spiegare come un secondo genoma tutto ancora da scoprire agisca sul Dna.”
    L’ultimo numero della rivista della American Society for Cell Biology (aprile 2010) si dilunga su come insegnarlo al pubblico e nelle università; Eva Vermuza su “Menome” del 2003 già scriveva: “Come può una molecola composta di soli quattro elementi generare tanta complessità? La risposta semplice è che il Dna non lavora da solo”.
    Sempre sull’Osservatore Romano interviene l’antropologo e il paleontologo di fama internazionale Fiorenzo Facchini in merito al recente ritrovamento dell’anello mancante tra l’uomo e la scimmia, che molti hanno già strumentalizzato per confermare le tesi neodarwiniste a antiteleologiche. L’articolo intitola: La leggenda dell’anello mancante. Aspettative deluse dallo scheletro di Sterkfontein..
    Lo scienziato afferma: “Si può parlare di antenato della forma umana, senza che ciò significhi una derivazione dalla scimmia, una espressione molto frequente quando si parla di evoluzione dell’uomo, ma impropria. Rispetto alle Antropomorfe (i Primati meno lontani dall’uomo dal punto di vista biologico), ci separa una storia di sei-sette milioni di anni, pur ricollegandosi sia gli Ominidi che le Antropomorfe a un ceppo comune dei Primati. Si dovrebbe più correttamente dire che la comparsa dell’uomo sulla terra si connette a un ominide divenuto capace di autocoscienza e di libertà. È questo un passaggio che sul piano filosofico corrisponde a una “discontinuità (o salto) ontologica”, espressa nel comportamento culturale, e chiama in causa, in una visione aperta al trascendente, il concorso di Dio creatore a motivo della specificità spirituale dell’uomo.”