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Il governo ateo comunista cinese incarcera chi protesta contro il regime.

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Carcere per chi protesta contro le sentenze ingiuste dello Stato. Questo è il clima che regna sotto l’ateo comunismo in Cina. Asia News riporta che China Human Rights Defenders e Radio Free Asia ha denunciato la condanna di 10 attivisti a 2-3 anni di carcere per avere protestato in pubblico contro sentenze inique. L’agenzia informa che «nella Cina comunista i giudici, sottoposti alla gerarchia del partito, non accettano alcuna critica per i loro verdetti». Alcuni avvocati dei condannati preannunciano appello, osservando che costoro non hanno compiuto alcuna azione pubblica idonea a disturbare l’ordine sociale. ll sistema giudiziario cinese è sempre più sotto accusa, causa forti tensioni sociali e sono continue le richieste di una riforma. Peraltro scoppiano continui casi di corruzione di giudici, anche ai massimi livelli. A giugno l’ex presidente dell’Ufficio esecutivo del tribunale del Guangdong Yang Xiancai è stato condannato all’ergastolo per tangenti. Ricordiamo che la Repubblica Popolare di Cina è ufficialmente atea, come l sono stati tutti i regimi e i dittatori comunisti (vedi Wikipedia).

 

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    Il regime ateo di Pyongyan umilia i giocatori della Nazionale.

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    Ma come mai certe cose accadono solo in Corea del Nord e Cina? Cos’hanno in comune questi due Stati a livello politico? Entrambi sono guidati dal partito comunista-marxista. Ma lo sono anche altri (Cuba..). Cosa realmente li caratterizza rispetto a tutto il mondo? Il fatto è che entrambi hanno imposto ancora l’ateismo governativo (vedi Wikienglish poiché in Wikitalia è stato eliminato prontamente il riferimento, probabilmente da qualche troll-uaarino). Questa è la vera ideologia alla base di questi e solo questi due Paesi. Il quotidiano Repubblica informa che il governo coreano ha torturato psicologicamente i giocatori della nazionale di calcio reduci dal Mondiale. Li ha messi fermi in piedi per sei ore su un palco allestito al Palazzo della Cultura popolare. Davanti a loro quattrocento persone li hanno insultati rinfacciando le debacle sudafricana. Gli unici a salvarsi Jong Tae-se e An Yong-hak, rientrati direttamente in Giappone. Ancora peggio per l’allenatore Kim Jong-Hun, mandato a lavorare in un cantiere edile della capitale Pyongyang. Il quotidiano di sinistra continua: «Tornando all’oscura Nord Corea, eloquente il motivo della punizione. Aver tradito la fiducia del ‘Caro leader’ Kim Jong-Il [figlio del terribile dittatore ateo Kim Il-sung, orgogliosamente inserito nel sito degli “atei celebri“]. Non si rilassa con il calcio, ma nemmeno con l’atomica viste la continue sfide portate alla comunità internazionale. E l’epilogo del Mondiale è stato in linea con gli inizi. Già in partenza infatti tirava una brutta aria: i giocatori non potevano rilasciare interviste, allenamenti blindati almeno fino alla notizia sulla presunta fuga di quattro giocatori». Ma non è la prima volta. Nel 1966 dopo che gli asiatici arrivarono ai quarti, i giocatori osarono festeggiare andando in un locale, alla maniera occidentale, ed al ritorno il ‘premio’ fu una deportazione nei campi di lavoro per curare l’atteggiamento da ‘borghesi decadenti’. Si salvò solo l’autore del gol, Pak Do Ik, rimasto in albergo per un attacco di gastrite. Repubblica chiosa: «Per la cronaca Kim Jong-Il non è responsabile dei fatti del ’66, all’epoca era poco più di un bambino. I provvedimenti li prese Kim Il-Sung, suo padre. E’ proprio il caso di dirlo, buon sangue non mente».

    L’articolo è inserito nel Dossier creato appositamente dall’inizio dei mondiali inititolato: Occhio alla Corea del Nord, unica nazionale ateo-comunista del Mondiale.

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