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L’evoluzionista Ayala: «scienza e religione non possono essere in contraddizione».

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Il Premio Templeton 2010 è stato assegnato al biologo evoluzionista cattolico Francisco J. Ayala. Durante una recente intervista a Reason.tv, lo scienziato ha dichiarato: «Scienza e religione non sono in contraddizione, non hanno bisogno di esserlo. Sono come due finestre attraverso cui guardiamo il mondo». Il sito reason.com traccia una breve biografia del biologo: «ha l’esperienza unica di aver studiato sia la scienza alla Columbia University che la teologia in un seminario in Spagna. Da quando ha lasciato i suoi studi, è diventato un leader nel mondo della genetica e dell’evoluzione. Attualmente insegna e svolge attività di ricerca in biologia evoluzionistica presso l’Università della California». Ayala è membro dell’Accademia delle Scienze statunitense e di molte tra le più rinomate accademie scientifiche internazionali (vedi qui). Su Youtube potete guardare l’intervista in lingua inglese. Per chi volesse approfondire le tematiche evolutive tra scienza e fede, consigliamo uno dei suoi libri più recenti: Il dono di Darwin alla scienza e alla religione (San Paolo 2009). Ayala ha spesso criticato la posizione ideologica dell’ateo più famoso del mondo, lo zoologo Richard Dawkins, sostenendo: «Dawkins è stato un amico per più di 20 anni, ma sfortunatamente va oltre i confini della scienza nel fare dichiarazioni con cui antagonizza i credenti. Quello di Dawkins fondamentalismo scientifico, perché implica una visione materialistica del mondo. Ma una volta che la scienza ha detto la sua, resta ancora molto di interessante da dire sulla realtà. E il senso comune ci dice che la scienza non può dirci tutto».

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    Il 50% degli scienziati americani è religioso, dall’Oxford University Press.

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    Nuovo studio, attendibilissimo, sull’argomento scienza e fede. Sembra incredibile ma esiste ancora qualche sostenitore dell’inconciliabilità fra scienza e fede. Un promotore di questi argomenti è l’agguerrito Christopher Hitchens (oggi il Corriere della Sera ha annunciato che è malato di cancro). Ma a dissuadere però i pochi superstiti rimasti è la poderosa analisi e il documentatissimo lavoro arrivato oggi nelle librerie americane di Elaine Howard Ecklund, giovane ricercatrice della texana Rice University, già insignita di premi dalla National Science Foundation e dalla Templeton Foundation. Lo studio è chiamato provocatoriamente Science vs Religion. In cosa credono realmente gli scienziati? (edito dalla prestigiosa Oxford University Press). Dimostra indubbiamente che, anche oggi, il credere e la scienza non sono agli antipodi. Anzi, è completamente e finalmente smontato il pregiudizio per cui gli scienziati moderni considerino la religione come qualcosa di inconciliabile con il proprio lavoro. La sociologa spiega ad Avvenire: «Sono molto poche le ricerche che esaminano quello che davvero gli scienziati pensano del ruolo della religione nella propria vita così come nella società in generale». Anche la Oxford University Press presenta il libro dicendo: «lo studio dimostra che quello che si crede sulla vita di fede degli scienziati d’elite è sbagliato. Il 50% è religioso e la maggioranza dei restanti sono “imprenditori spirituale”, cioè lavorano per diminuire le tensioni tra scienza e fede».



    La ricerca. La sociologa ha preso come punto di riferimento gli Stati Uniti e ha contattato, con un questionario apposito, oltre 1200 scienziati a vario livello – ricercatori ai massimi livelli, docenti universitari e professori– per domandare loro qualcosa in più di come si rapportino con Dio.

    Risultati. 1) Coloro che affermano di avere una religione rappresentano il 50% del campione di ricerca. 2) Gli atei o gli agnostici dichiarati arrivano solo al 30% (e pensare che la maggior parte degli intervistati si dice evoluzionista) 3) Il restante 20% si qualifica come avente un «rapporto individualizzato e non convenzionale» con Dio. 4) Solo la metà di quanti si dichiarano atei (quindi meno del 15%) pensa che religione e scienza siano «inevitabilmente in conflitto» e una minima parte è antireligioso. 5) Gli scienziati più giovani sono più religiosi di quelli con i capelli più bianchi e considerano meno antagoniste ricerca scientifica e indagine spirituale. «Non so precisamente il motivo per il quale i più giovani si dichiarano maggiormente religiosi – annota Ecklund –. Forse questo può derivare dal fatto che oggi vi è più possibilità di conversare sulla religione nelle migliori università di quanto avveniva nel passato» (confermato anche dalla Oxford University Press).

    Precedenti. Il lavoro della Ecklund era stato preceduto anche da altri segnali che andavano nella stessa direzione. Nel 2008 la Columbia University Press aveva pubblicato, a firma di Philip Clayton e Jim Schaal, un testo che raccoglieva 12 interviste ad altrettanti importanti scienziati che raccontavano il loro rapporto pacifico con la fede. Practing Science, living Faith mostrava invece il duplice registro che richiama la distinzione galileiana tra fede e scienza: praticare come tecnica la seconda, vivere come una questione esistenziale la prima. E nel 2009 un ampio sondaggio americano, realizzato dall’autorevole Pew Research Center, dimostrava che al 61% degli americani la scienza non poneva conflitto con la propria fede.

    Conclusioni. Insomma, l’assioma dei neo-atei, per cui fede e scienza sono irriducibili, nel Nuovo mondo proprio non ha attecchito. Ora questi simpatici infervorati che si fanno chiamare razionalisti, concentrati maggiormente nell’UAAR e devoti allo zoologo pensionato Richard Dawkins, avranno tre soluzioni: 1) Cominciare ad insultare dalla rabbia la sociologa come fanno con chiunque, relegandola ad una idiota incapace. 2) Sostenere che gli Stati Uniti non rappresentano un campione attendibile per la ricerca scientifica ma che si dovrebbe andare ad intervistare gli scienziati della Repubblica Ceca. 3) Ignorare beatamente tutto questo e continuare a pascolare sul sito dell’UAAR che, sempre attenta alla scienza, si è però ben guardata da pubblicare lo studio della Oxford University Press. Non si sa mai che perda uno dei suoi già risicati 4000 membri, faticosamente conquistati in ben 24 anni di militanza quotidiana…

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